I rimedi contro la revoca del decreto di ammissione al gratuito patrocinio

Contro il provvedimento di revoca d’ufficio dell’ammissione al beneficio non è esperibile il ricorso per cassazione ma l’opposizione ex art. 99 DPR.115/2002

Con ordinanza 25 maggio 2021, n. 25094 (testo in calce) la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito
l’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione di ritenere che, in tema di patrocinio a spese dello
Stato, avverso il provvedimento di revoca d’ufficio dell’ammissione al beneficio non è esperibile il ricorso per cassazione ma l’opposizione al tribunale.
Le Sezioni Unite con sentenza n. 36168/2004 (14.07.2004 – 10.09.2004) ebbero a ripercorrere l’evoluzione della disciplina legislativa in materia di patrocinio dei non abbienti a partire dal 1990, richiamando l’ordinanza della Corte Costituzionale 144 del 1999 che affermò che: il giudice chiamato a decidere sulla istanza di ammissione al patrocinio esercita una funzione giurisdizionale; i provvedimenti da lui emessi sono revocabili nei limiti ed in base ai presupposti espressamente previsti, e rimovibili, negli altri casi, solo attraverso gli strumenti di impugnazione; il sistema evidenziava lacune cui non si poteva ovviare con forzature interpretative.
Successivamente diverse pronunzie della Cassazione, allineandosi alla natura giurisdizionale del
provvedimento di ammissione al patrocinio dello Stato, negarono la possibilità di revoca d’ufficio al di fuori dei casi esplicitamente previsti (24.04.01, 06.06.01, 03.12.01, 28.11.02, 11.12.02, 11.12.02).
Si arrivò poi al DPR 30.05.2002 n. 115 (Testo Unico in materia di spese di giustizia) che abolì la
previsione della “modifica” del provvedimento di ammissione ed ha ricompreso tutte le ipotesi di revoca
nell’art. 112, inserendo alle lettere a), b) e c) le revoche di ufficio di carattere formale, e alla lettera d)
quella su richiesta dell’ufficio finanziario entro i cinque anni dalla definizione del processo.
All’art. 113 viene prevista la ricorribilità per cassazione (non più collegata ai soli casi di violazione di legge) contro il decreto che decide sulla richiesta di revoca dell’ufficio finanziario.
Rammenta la Suprema Corte di Cassazione che “a ciascun giudice è preclusa in via generale, salvo e nei
limiti in cui gli sia espressamente attribuita, la facoltà di ritornare sui propri provvedimenti a carattere
definitorio nei cui confronti sia positivamente prevista l’azionabilità di un apposito rimedio caducatorio”.
In ambito di patrocinio a spese dello Stato pertanto il giudice ha il potere di revoca solo nei casi e sulla base di presupposti precisamente indicati, e demanda esclusivamente all’Ufficio finanziario (abilitato a servirsi della Guardia di Finanza) la facoltà di verifica delle condizioni di reddito con il conseguenziale potere di chiedere la revoca del beneficio.
Ergo al giudice è inibito revocare d’ufficio il provvedimento di ammissione al patrocinio sul presupposto della mancanza delle prescritte condizioni di reddito, in assenza della richiesta dell’Ufficio finanziario. Il potere di controllo spetta solo all’Ufficio finanziario.
La sentenza della Quarta Sezione 25094/2021 aderisce a tale interpretazione sistematica per cui il
provvedimento di revoca nella ipotesi di revoca di ufficio è impugnabile negli stessi termini e con i medesimi rimedi stabiliti dall’art. 99 (davanti al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello) del Testo Unico, mentre l’art. 113 (ricorso in cassazione) è esperibile nella sola ipotesi della revoca su richiesta dell’ufficio finanziario.

La ricostruzione ermeneutica delle norme in parola, sia del giudice delle leggi che del giudice della
nomofilachia, non ha però trovato adeguata trasposizione nella esposizione normativa del Testo Unico,
neppure e soprattutto nelle modifiche legislative del Testo Unico (dal 2005) successive alle pronunzie
giurisprudenziali sopra citate, non inserendosi nel solco di una buona tecnica legislativa.
L’art. 99 del T.U. infatti recita come titolo “Ricorso avverso i provvedimenti di rigetto dell’istanza”, quindi
indicando il rimedio contro una domanda rigettata e non revocata.
L’art. 112 del T.U. disciplina i casi di revoca del decreto di ammissione da parte del magistrato. I primi tre
casi sono per questioni formali (non comunicazione della variazione dei limiti di reddito, variazione delle
condizioni di reddito a seguito di comunicazione, mancata produzione della certificazione dell’autorità
consolare), mentre il quarto riguarda la revoca “d’ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario competente
presentata in ogni momento e, comunque, non oltre 5 anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92”.
La lettura della norma porta come esperibile una revoca di ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario, in
contrapposizione agli insegnamenti delle Corti (Costituzionale e Cassazione).
L’art. 113 porta come intestazione “Ricorso avverso il decreto di revoca”, ma la norma testualmente recita ”Contro il decreto che decide sulla richiesta di revoca ai sensi della lettera d) comma 1 dell’artt. 112,
l’interessato può proporre ricorso per cassazione ….”. Quindi mentre la lettera d) prevede le ipotesi di revoca d’ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario, l’art. 113 limita la esperibilità del rimedio del ricorso in cassazione solo avverso il decreto che decide sulla richiesta di revoca.

La tecnica di drafting legislativa suggerisce che nella redazione del testo normativo occorre:
a) individuare i destinatari della norma;
b) pianificare il testo in modo da garantire una distribuzione razionale, coerente e logicamente connessa dei contenuti;
c) affrontare le inevitabili complessità delle norme senza cadere nel semplicismo ma sciogliendo i nodi con l’aiuto di frasi brevi, tempi e modi verbali più diretti e concreti e parole comuni;
d) evitare le ambiguità o le contraddizioni;
e) usare le parole del linguaggio comune cioè le parole conosciute dalla maggior parte dei cittadini;
f) organizzare le frasi in modo lineare;
g) usare la punteggiatura e l’organizzazione grafica per rappresentare visivamente la strutturazione del
testo e garantirne la leggibilità;
h) ricordare che la redazione di una norma non risponde a canoni estetici ma a una precisa funzione: essere comprensibile e contribuire a realizzare il principio della certezza del diritto.
La riflessione finale che mi sento di fare è la seguente. Ogni norma deve essere congegnata e strutturata,
per quanto più possibile, in modo di facile ed intuitiva lettura per il cittadino, non solo per gli operatori del
settore. Se una norma va interpretata è segno che non è scritta bene, è opinabile o si presta a diverse
letture. Nella fattispecie in esame basterebbe distinguere all’art. 112 espressamente le ipotesi dei poteri di revoca d’ufficio del giudice da quelli conseguenti ad una richiesta dell’ufficio finanziario, così come all’art. 113 prevedere espressamente sia il caso della ricorribilità in cassazione (revoca su richiesta dell’ufficio) che quello del ricorso al capo dell’ufficio da cui dipende il magistrato che ha disposto la revoca (revoca d’ufficio).

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